A FESCA UNA VIA INTITOLATA AL CONSOLE LUCIO SILANO Scritto da Francesco Quarto - bibliotecario c/o Biblioteca Nazionale “S. V. Volpi” e ricercatore / Luigi Bramato - editore e titolare libreria Bari Ignota -

A FESCA UNA VIA INTITOLATA AL CONSOLE LUCIO SILANO

Scritto da Francesco Quarto bibliotecario c/o Biblioteca Nazionale “S. V. Volpi” e ricercatore
Luigi Bramato editore e titolare libreria Bari Ignota

Nel 2017 la casa editrice “L’Erma di Bretschneider” ha dato alle stampe la collettanea “Bari romana”, curata da Luigi Todisco. Si tratta, a nostro avviso, di un lavoro pregevole per aver aggiornato e consegnato ai lettori alcune delle pagine più importanti, ma meno note, della storia barese. Le tracce della presenza romana in città, tuttavia, non vanno cercate solo nell’opera degli storici e degli archeologi. A guardar bene la toponomastica cittadina, ci siamo accorti che a Fesca esiste una via intitolata a Lucio Silano. Chi era mai costui? Per rispondere a questa domanda abbiamo consultato il volume Puglia Romana del compianto latinista Vincenzo Sirago e il saggio Fonti letterarie ed epigrafiche per la storia sociale del ricercatore Gianluca Mastrocinque. I due studiosi ci raccontano che nel 65 d.C. il Senato, su sollecitazione di Nerone, bandì da Roma i senatori Cassio e Silano, condannati per aver cospirato contro l’imperatore. Cassio fu deportato in Sardegna e Silano, destinato a Nasso (Grecia), fu detenuto a Ostia, quindi trasferito a Bari, un municipio della Puglia. A Bari Silano trascorse «con paziente saggezza l’ingiusta sventura», prima di essere aggredito (si sospetta sempre su mandato di Nerone) da un centurione e dai suoi soldati. Il patrizio romano, nipote di Cesare Ottaviano Augusto, sprovvisto di armi, oppose furibonda resistenza ma alla fine «cadde come un soldato in battaglia». Lo storico romano non aggiunge altro. Non sappiamo, perciò, in quale stagione del 65 d.C. sia avvenuto il «trasloco» di Silano, quale sia stata la rotta seguita dalla nave e, soprattutto, com’era Bari durante l’età neroniana. ln nostro soccorso giungono tre autori latini della prima età imperiale, Orazio, Tito Livio e Plinio, leggendo i quali possiamo, con qualche cautela, ritenere che all’arrivo di Silano il municipium di Bari fosse costituito da un tessuto insediativo racchiuso fra l’attuale complesso di piazza S. Pietro, piazza Mercantile e il castello Svevo; che gli abitanti e i fabbricati fossero protetti da una cinta muraria, robusta al punto da indurre Plinio a qualificare oppidum il luogo che Tacito aveva invece definito municipium; e che il porto dove sbarcò Silano non doveva essere uno dei tanti piccoli scali disseminati lungo le coste italiane, bensì una forte struttura, funzionale alla sorveglianza delle rotte adriatiche con l’Oriente e affidata ad una guarnigione militare: la stessa alla quale dovettero appartenere gli uccisori del principe romano. Sulla storia romana di Bari di questo periodo ci sarebbe molto altro da scrivere, ma non è questa la sede per farlo. Lo è, invece, per raccomandare la lettura degli scritti di Sirago e Mastrocinque, e dei lavori richiamati nelle rispettive bibliografie, per far sì che la città non disperda la memoria di una delle pagine più importanti del suo passato. Osserviamo con rammarico, al riguardo; che da molti anni i lares ed i penates sono stati rimossi da Bari per far posto alle locations di un’industria dello spettacolo protesa all’esaltazione di un presente effimero e virtuale. A tutto ciò si sono opposte e si oppongono le istituzioni, patrocinando e, se possibile, patrocinando ricerche come quelle che hanno consentito al gruppo di archeologi guidati dal prof. Giacomo Disantarosa, dell’Università di Bari, di portare al rinvenimento di anfore romane nei fondali marini di Fesca. Non appaia peregrina l’ipotesi secondo la quale il nipote di Augusto potrebbe aver trascorso l’esilio nella villa che la sua gens possedeva nei pressi della strada che da Bari portava a Ceglie e che oggi potrebbe coincidere con via Giulio Petroni, denominata un tempo via Vaccarella.

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