UN AMORE IN VILLEGGIATURA Scritto da Celestina Carofiglio - scrittrice e poetessa

UN AMORE IN VILLEGGIATURA
Scritto da Celestina Carofiglio 

scrittrice e poetessa

Lavoravo come babysitter presso una famiglia di Bari, assunta da Elena, la dottoressa di famiglia. A quel tempo io avevo trent’anni. Accudivo due deliziosi bambini: Gianni di tre anni e Maria di cinque. Abitavano nel quartiere Carrassi, vicino alla Chiesa Russa, in un bel villino che ora non c’è più. In realtà io mi prendevo cura anche della signora Maddalena, la bisnonna dei piccoli, che viveva in casa con loro. Tutti i giorni alle quattro di pomeriggio andavo a prendere i bambini dall’asilo comunale, li accudivo e poi li facevo giocare. Improrogabilmente verso le diciannove i piccoli si addormentavano. I primi giorni io me ne sono stata in disparte, aspettando che i padroni di casa tornassero dal lavoro, ma la signora Maddalena un po’ alla volta, con la sua gentilezza, mi ha coinvolto nelle sue confidenze.
“Devi sapere, cara Cristina, che io quando ero giovane andavo a servizio,per aiutare economicamente i miei genitori. Noi abitavamo in via Sagarriga Visconti ed io tutte le mattine mi recavo in via Principe Amedeo, in casa di una ricca famiglia di Bari, per svolgere il mio lavoro. Ero una bella ragazza davvero! I miei capelli erano di un nero corvino e i miei lineamenti ed il mio portamento facevano impazzire molti uomini”disse arrossendo .” “
È ancora bella adesso!” risposi d’impulso. “Cristina, ecco una mia fotografia d’allora. Ero molto semplice ed avevo solo diciotto anni. Eravamo da poco usciti dalla guerra. La casa dei miei padroni era molto frequentata da persone della Bari bene. Ogni tanto qualche ospite maschile trovava che i miei occhi verdi erano dolcissimi o che l’ovale del mio viso, la mia figura e i miei seni fossero perfetti. Io ne ero impaurita ed arrossivo alle loro lodi ed ero molto preoccupata. Avevo deciso di parlarne con i miei per non andare più a servizio, ma capitò nella casa dei miei padroni un signore nobile, un conte di cui mi innamorai, che si mise a corteggiarmi seriamente,facendomi poi diventare sua moglie. “
Interruppe il suo discorso perché giunse sua nipote ed io tornai a casa. L’indomani trovai Nuccia, diminutivo della signora, in lacrime. Aveva una scatola con delle fotografie e me ne mostrò alcune” Queste sono le foto del mio fidanzamento ufficiale e del mio matrimonio. Ho voluto molto bene ad Ernesto, mio marito, e non potrò mai dimenticarlo. “Mi mostrò poi un’altra fotografia che la ritraeva in costume da bagno dell’epoca e aggiunse” Il mio consorte aveva una villa a mare, ereditata dalla sua famiglia, nel rione San Cataldo e noi tutti gli anni ci trasferivamo lì da giugno a settembre inoltrato.” Arrivò Elena ed io andai via.
Il giorno dopo Maddalena volle che io le prendessi una cassa dallo scantinato della villa. L’operazione richiese molto tempo. La signora fu molto felice. “Quanti ricordi in questo baule! La vita dona ma toglie anche” mi disse.
Il lunedì successivo, quando i bambini si addormentarono, lei mi fece entrare nella sua stanza. La cassa era lì dove l’avevo lasciata aperta. La signora Nuccia mi mostrò delle foto della villa di via Adriatico, a San Cataldo. Io ricordai di averla vista quella villa, quando con degli amici mi recavo al cinema ABC. “Sì”- “Pensai quella bella costruzione un po’ decadente, vicino alla quale sono solita parcheggiare l’automobile”. “È vostra” dissi d’impeto. “No, cara, non più. 
È stata venduta, purtroppo, per necessità”.
Il giorno dopo la trovai pimpante come sempre. Aveva preparato una torta per me e per i bambini. La degustammo insieme, comodamente sedute in poltrona. Cominciò a raccontare:” Trent’anni fa, cara Cristina, non c’erano tutte le comodità di adesso e spostarci a San Cataldo non era così facile. Non c’erano molti negozi nel quartiere e mio marito era costretto a fare delle grosse provviste per alloggiare a mare. Possedeva un’auto, la Topolino, e faceva su e giù varie volte per rifornire di viveri la villa, dove c’erano i primi frigoriferi Ignis. Anche se in quei mesi amavamo fare scorpacciate di pesce fresco,acquistato dai pescatori locali. Quell’anno, il 1951, io avevo già i miei due bambini: Maria e Nicola, il padre di Elena. Mio marito ci mandò l’auto della ditta che dirigeva, una Chevrolet nera. Vi salimmo mia suocera ed io con i miei piccoli, insieme a numerose valigie con l’abbigliamento personale. Faceva molto caldo quella mattina per cui eravamo felici di spostarci nella nostra villa, che portava il nome di mia suocera Anna. Quando vi giungemmo il personale di servizio era già lì. Tirai un sospiro di sollievo, cominciava la mia vacanza. Quando mio marito arrivò, io e i miei bambini eravamo già in tenuta da mare. Pranzammo con lui, che doveva subito ritornare al lavoro. Mia suocera, da sempre ostile, ovviamente criticò il mio abbigliamento troppo audace, davanti a Ernesto “L’abito è troppo succinto e attira lo sguardo degli uomini”sentenziò. Fui costretta a ricambiarmi. Per fortuna Anna a mare non veniva ed io potevo essere più libera. Il mare quel pomeriggio era una tavola ed io mi adagiai beata sotto l’ombrellone, sulla mia sedia a sdraio. I bambini giocavano nella conca di sabbia e uscivano ed entravano dall’acqua. Ogni tanto mi chiamavano ed io andavo a vedere le loro costruzioni di sabbia. Alle sette tornammo alla villa.
La sera ci recammo alla pizzeria “Santa Lucia”. A quei tempi il locale era piccolo e per lo più dedito all’asporto, ma la pizza era buona ! La serata era stupenda ed io godevo di quell’aria, dopo tanti mesi di chiusura in casa. In città mio marito lavorava fino a tardi e mia suocera mi teneva sotto stretto controllo. Uscivamo solo poche volte di sera, durante l’inverno. La mia era una prigione d’oro, ma in villeggiatura le corde si allentavano ed io avevo un po’ di libertà in più”. Suonarono il campanello e l’anziana signora smise di parlare: erano Elena e suo marito. Salutai con un bacio Maddalena e me ne andai.
L’indomani Nuccia tirò fuori dalla cassa tutti i costumi da mare, usati nelle sue villeggiature. Poi si soffermò su un costume nero intero con uno strano gonnellino e mi disse che l’aveva indossato l’ultimo anno di villeggiatura a San Cataldo. Qualche lacrimuccia le scese sul viso. “Purtroppo quella che ti sto raccontando”- aggiunse amareggiata - 
È stata la mia ultima villeggiatura a mare nella bella Villa Anna” “Come mai signora?” chiesi.” “Ti racconto. Quell’anno, per inaugurare la stagione a mare, fu organizzata una festa meravigliosa. Mi recai a Bari per acquistare un abito elegante in stile anni cinquanta. Ero stupenda quella sera: l’abito mi stava a pennello, evidenziando un vitino invidiabile per una donna che aveva partorito per ben due volte. Una collana con un grosso smeraldo, regalatomi da mio marito, mi rendeva ancora più attraente. Gli sguardi degli uomini erano tutti rivolti verso di me. Un mio vecchio spasimante dei tempi in cui servivo continuò a fissarmi per tutta la serata. Lo ritrovai la mattina dopo a mare, aveva l’ombrellone qualche metro dietro di me e mi salutò, avvicinandosi . L’uomo mi disse che non mi aveva mai dimenticata e che ardeva d’amore per me. Gli dissi chiaro e tondo che doveva lasciarmi in pace perché ero una donna sposata, ma inutilmente. Cercavo di stare con i miei bambini il più possibile. Avrei dovuto parlarne con mio marito, ma non pensavo che gli avvenimenti sarebbero precipitati fino a quel punto. I pettegolezzi cominciarono a circolare e la padrona della spiaggia riferì tutto a mia suocera. Mi chiusero in casa mentre i miei bambini si recavano a mare con la donna di servizio. La mia vita divenne un inferno. Per fortuna mio marito,vedendomi così afflitta, mi disse che avrebbe preso le ferie e saremmo andati a mare insieme e così fu. Tornai ad essere serena con lui a fianco. I bambini e mia suocera andavano a letto presto ed io e mio marito, uscivamo di sera a fare delle lunghe passeggiate. A volte la nostra meta era il Faro, altre volte arrivavamo alla spiaggia di San Francesco. Il nostro amore sembrava rinnovato. Purtroppo il diciotto agosto Ernesto tornò al lavoro ed anche il mio spasimante ritornò a farsi vivo. Era un uomo ostinato fino all’inverosimile. Le chiacchiere ripresero e mio marito dovette provvedere. Quella domenica, raggiuntomi in spiaggia, lo vide. La lite fu furibonda ed io evasi la sorveglianza dei miei piccoli per intervenire. Mi vennero a chiamare, la mia bambina Maria era caduta nel mare burrascoso di quel giorno ed era andata ad urtare contro gli scogli. La portammo al pronto soccorso, in fin di vita. Niente fu più come prima per me. Mia suocera mi accusava e mi tormentava. Il nostro dolore ci portò a separarci. A me assegnarono la villa di corso Sicilia, in cui sono vissuta in tutti questi anni con il mio unico figlio Nicola, il padre di Elena”. Scoppiò a piangere ed io l’aiutai a svestirsi e l’accompagnai a letto. Ebbe una crisi molto forte e fui costretta a chiamare la nipote alla quale raccontai delle confidenze dell’anziana signora. Fui rimproverata molto, per averla fatta emozionare così tanto, e licenziata in tronco per il mio comportamento superficiale. Non la rividi più. Mi chiamò dopo sei mesi la dottoressa Elena, annunciandomi che Maddalena era morta e, nel chiedermi scusa, mi diede una lettera in cui c’erano le sue ultime confidenze . Andai a casa e mi sedetti in poltrona. Aprii la busta e lessi:
“Cara mia giovane amica, a te ho voluto confidare i miei patimenti quasi tu fossi la figlia che ho perduto. Devo confessarti una verità che non ho avuto il tempo di raccontarti a voce. Il 1951 non è stato l’ultimo anno di villeggiatura a mare. L’anno dopo la nostra separazione, il Conte mi venne a trovare e mi diede le chiavi della villa. Voleva che il bambino ed io godessimo della vacanza. Finalmente libera, a contatto col cielo e col mare, ho trascorso serenamente quelle vacanze a villa Anna. Lui a volte veniva a trovarci di sera e noi due, quando il bambino andava a letto, godevamo del nostro amore, un amore contrastato, che aveva suscitato scalpore per la enorme differenza sociale, ma che, nel tepore delle quattro mura , al riparo dagli sguardi indiscreti, è resistito fino alla morte di Enrico. Un abbraccio affettuoso. Tua Nuccia.”


( Racconto di fantasia, ogni riferimento a fatti, luoghi o persone e puramente casuale )

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