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STORIE DELLE VILLE E DELLE FAMIGLIE

Il nostro percorso tra le ville del quartiere ha inizio da villa “Aurora” eretta, a fine ’800, dal conte Vincenzo Sabini per soddisfare la richiesta della moglie Aurora Poli. A regalarmi questo prezioso ricordo è la signora Felicita Poli Soria nipote di Felicita Sabini e del commendator Giacomo Poli la cui sorella era la signora Aurora. La signora Felicita Poli ricorda che in tenera età ha avuto modo di soggiornare nella villa del conte Sabini. Il Conte viveva a Bari in un palazzo situato sul corso Vittorio Emanuele II tra via Sparano e via Andrea da Bari riconoscibile dal balconcino in ferro battuto recante un monogramma e la data di edificazione 1827. Nel 1958, la famiglia dei conti Sabini, incaricò l’architetto Vito Sangirardi di progettare un palazzo di otto piani con attico sul cui prospetto di via Sparano fece apporre il proprio stemma. Fortunatamente la porzione di palazzo rivolta verso via Andrea da Bari restò intoccata. Se lo stesso fasto visibile nel palazzo che i conti Sabini possedevano ad Altamura, sia stato applicato anche alla villa in località San Cataldo, potremmo pensare che l’ampio salone centrale, con volta a padiglione, fosse riccamente decorato da dipinti e rifinito con stucchi: a differenza delle altre stanze, poste simmetricamente, molto più sobrie. Villa “Aurora” disponeva di un sottano semi-interrato e di un soprano a piano rialzato raggiungibile da un’ampia scala balaustrata di forma svasata. Il portone e le finestre ad arco avevano eguali proporzioni ed erano rifinite con decori e mezzi busti incorniciati da medaglioni. Fregi decorativi erano apposti anche sulle lesene e sul marcapiano. Lo spazio antistante il portone era caratterizzato da un patio con balaustra ed era coperto da una tettoia al di sopra della quale era posto un frontone su cui era impresso il nome della villa sormontato da una scultura a conchiglia. Il terrazzo era coperto da un tetto a falde spioventi sui quattro lati e culminava su un terrazzino belvedere balaustrato accessibile da un vano scala. Già negli anni ’30 il giardino godeva di una piacevole ombreggiatura per merito dei pini cresciuti considerevolmente. L’aiuola circolare aveva un ninfeo ed i viottoli erano adornati da statue antropomorfe e zoomorfe. All’ingresso posto sul lungomare spiccava sul cancello il monogramma V.S. cinto da corona. Le inferriate di recinzione, interamente in ferro e prive di pilastri, poggiavano su un basso basamento culminanti in due corpi di fabbrica. Questi piccoli edifici, posti sul lungomare, fungevano probabilmente da scuderia e rimessa ed erano costruiti con lo stile simile alla villa ovvero erano corredati da tetto a spiovente a quattro falde e lungo la canalina della grondaia era sospesa una mantovana merlettata, di aspetto identico a quello degli chalet montani svizzeri.Nel giardino trovava spazio anche una piccola cappella votiva. La proprietà aveva una posizione invidiabile che garantiva ai residenti la vista sul mare e sul porto, sulla penisoletta di San Cataldo e sull’area retrostante dove sarebbe sorta, nel 1930, la Fiera del Levante il cui ingresso Italo Orientale confinava lateralmente con la villa. La posizione fronte mare, però, rendeva molto esposta la villa alle intemperie tant’è che l’uragano che distrusse i tralicci della stazione radio di Marconi, il 10 luglio 1905, divelse anche il cancello della villa. La posizione isolata, inoltre, la rendeva facile preda di malfattori come accadde il 12 marzo 1921. Giorno in cui dei ladri agirono indisturbati portando via un bottino del valore di diecimila lire consistente in: 8 materassi di lana, oggetti di biancheria e un fucile a retrocarica. Agli inizi del900 venne edificata una villa nell’area adiacente alla proprietà del conte Sabini, anche questa con vista mare che si estendeva fino all’attuale via Adriatico. Mi riferisce la signora Rosa Maria Faenza Jatta, con una dettagliata testimonianza, che l’edificio apparteneva al trisnonno materno il signor Domenico De Luzio e alla consorte Angela Lezzi, la cui figlia Rosa sposò il musicista cavalier Nicola Faenza. Costui compose un brano intitolato “L’allodola Mazurka” e lo dedicò a Giovannina e Aurorina Poli. Tra la famiglia Poli e De Luzio c’era un grado di parentela, infatti Giovannina, che ho poc’anzi nominato, sposò Antonio De Luzio fratello di Rosa. L’edificio proprietà De Luzio aveva un impianto planimetrico classico con disposizione di ambienti simmetrici e composto da un piano terra e un primo piano. L’aspetto esterno, invece, lo rendeva asimetrico sul prospetto. Il portone era sormontato da una balconata balaustrata che creava nello spazio sottostante un portico. Questo spazio era compreso tra un massiccio torrino belvedere a destra ed una parte aggettante sull’angolo opposto. Il giardino antistante era ridotto rispetto a quello di villa Aurora, in quanto lo spazio dedicato a verde era posto nell’area retrostante su cui affacciava un secondo ingresso. Sull’epilogo triste di queste due ville ho già riferito nella prima parte del racconto dedicato alla storia del quartiere. Di aspetto simile alla proprietà del signor De Luzio, ma di dimensioni più contenute, vi è una villa ancora esistente ubicata in via Adriatico ad angolo con via del Faro. L’edificio, intitolato a “Giselda”, fu edificato nel 1914 dalla famiglia dell’avvocato Gargano. Elemento caratteristico di questo edificio è il torrino belvedere a pianta quadrata ornato da colonnine che supportano degli archi sovrastati da un secondo terrazzino con balaustra. Oltre al torrino aggettante sul prospetto, lungo tutta la facciata d’ingresso, c’è una balconata balaustrata che crea un portico nello spazio inferiore. La villa, inoltre, dispone di un lussureggiante giardino confinante con l’edificio scolastico Marconi. Anche questa proprietà, come altre residenze di queste località, fu requisita durante la seconda guerra; prima dai tedeschi e poi dagli anglo-americani. Non distante da villa “Giselda”, al civico n. 13 di via Adriatico sorge il villino edificato nel 1931 dal Giudice Ignazio nato da Nicola Faenza e Rosa De Luzio, tale figlio sposò la signora Maria Binetti. Sulla porta d’ingresso è leggibile il monogramma I.F. mentre ai piedi della scala d’accesso c’è una graziosa fontanella. L’edificio di stile eclettico presenta riferimenti al liberty nelle decorazioni delle finestre della piccola loggia-veranda. Questa è sovrastata da un terrazzino balaustrato. Nelle finestre del torrino, invece, ci sono attinenze stilistiche al genere moresco. La planimetria è composta da otto vani, più quelli di servizio, distribuiti su due piani con un piano sottano. Gli interni hanno soffitti a volte, pavimenti decorati con cementine, e prendono luce, oltre che dalle finestre dei prospetti esterni, da un cavedio. Nel cortile antistante l’ingresso vi erano delle palme, sul retro una dependance è raggiungibile da un terzo ingresso.Un ingresso laterale, invece, dà accesso diretto al vano scale. Il muro di recinzione, in cemento, ha quindi tre cancelli addossati a pilastri sormontati da vasi a calice. Il Giudice Ignazio Faenza aveva eretto un’altra villa nel 1929 quindi antecedente a quella prima descritta. Questa era ubicata su via Adriatico n. 12 ad angolo con l’attuale lungomare Paolo Pinto e adiacente alla Fiera del Levante. L’impostazione planimetrica era asimmetrica: sul prospetto l’angolo di sinistra presentava una struttura che culminava con un torrino belvedere mentre l’angolo opposto retrocedeva per accogliere la scala ed il patio d’accesso alla villa. L’edificio era composto da un seminterrato e da due piani sovrastanti. Su quel suolo, confinante con il quartiere fieristico, sorge oggi una palazzina anni ’60.Percorrendo il lungomare Starita, all’angolo con via Caprera e confinante dal lato opposto con la proprietà del colonnello Ricardi, sorge il villino “Ofelia” edificato nel primo ventennio dall’avvocato Cavalier Enrico Laterza sposato con la signora Eva Notaristefani che decisero di intitolare la loro proprietà alla figlia. Si accedeva al cortile attraverso un cancello affiancato da inferriate erette su di un basamento, il cortile, antistante al mare, era abbellito da due palme con una fontanina decorativa, tutt’ora esistente, che precede la rampa svasata della scala. Di dimensioni contenute, ma con dettagli pregevoli, la costruzione era così composta: un piano soprano rialzato e un piano sottano interrato accessibile dall’orto retrostante. Il prospetto era decorato da lesene e marcapiano con modanature e il portone era sormontato da un frontone. Internamente le pareti, un tempo, erano decorate con carte da parati. L’impianto planimetrico è tutt’ora composto dalla sala principale con volte a padiglione ai cui lati si distribuiscono gli altri ambienti con volta a crociera. Di quanto detto fino ad ora resta in buona parte un bel ricordo, ma ancora oggi, il pavimento a cementine decorate, il portone in legno a due ante con inferriate decorate in ferro battuto sono testimonianza dell’eleganza di quella villa. Di dimensioni pressoché analoghe era l’edificio confinante che apparteneva al colonnello Ricardi. Si diversificava dal precedente per il prospetto dotato di un terrazzino balaustrato che creava un quadriportico sorretto da pilastri. Attualmente, dopo un intervento architettonico avvenuto negli anni ’70, la scala d’accesso è stata modificata per l’edificazione al quadriportico di una parete vetrata e per l’aggiunta di un piano superiore anch’esso chiuso da una vetrata lungo l’intera facciata.Sempre intorno agli anni ’20, nella zona corrispondente all’attuale lungomare Starita n. 15, la signora Ippolita Attolico fece erigere, nel 1928 circa, un villino stile eclettico, con impianto planimetrico asimmetrico. Sul lato destro presentava una struttura a torre con balconata d’angolo che, secondo il progetto custodito all’Archivio di Stato di Bari, sarebbe stata sovrastata da un torrino belvedere con trifora e tetto a spioventi. L’edificio era caratterizzato da finestre monofore e bifore in stile neo-gotico veneziano. Al patio del piano soprano si accedeva tramite una scala a doppia rampa. La proprietà era circondata da un modesto giardino cinto da un prezioso cancello in ferro battuto privo di pilastri e con inferriate su basamento. Uno stile simile era stato utilizzato per l’edificazione, nei primi anni ’30, di una proprietà, denominata “Villa Rosa”, priva di cortile e posta sul lungomare Umberto Giordano all’angolo con via Giuseppe Verdi. Il progetto porta la firma dell’architetto Cesare Augusto Corradini lo stesso che ideò: l’ingresso monumentale della Fiera, il palazzo Fizzarotti sito sul corso Vittorio Emanuele II e il palazzo Ingami-Scalvini situato all’angolo di via Cairoli con via Putignani. L’edificio ha un porticato con archi ogivali sorretti da pilastrini con capitelli, chiuso da porte vetrate con inferriate. L’uso delle colonnine sono una costante decorativa che si ritrova ai lati delle finestre ad arco del piano sovrastante. Sul corpo di fabbrica, impostato simmetricamente, svetta una torre balconata posta centralmente sul prospetto rivolto verso il Lido San Francesco all’Arena. Altri elementi distintivi di “Villa Rosa” sono le merlature sui parapetti, i cantonali con bugnato ed alcuni fregi: uno raffigurante l’effige barese del “Barione” – riprodotta anche sul palazzo Fizzarotti –, l’altra rappresenta San Nicola a mezzo busto ed una meridiana solare posta tra le due porte-finestra del balcone. “Villa Rosa” era adibita a luogo di svago e ritrovo per l’aristocrazia. Il gestore, Filippo Magistro – titolare dei ristoranti “Commercio” siti l’uno in via Roberto da Bari e l’altro all’interno della Fiera – proponeva alla clientela eventi mondani e “The danzanti”. L’intitolazione a “Rosa” l’accomuna ad un’altra villa ubicata a San Girolamo. Quest’ultima villa è stata commissionata dal commerciante di abbigliamento Giovanni Mercoledisanto nel 1950. La villa, posta nell’entroterra, ha una forma simmetrica ed è composta da un piano terra con due ingressi e un piano superiore con balconata, sormontata da un marcapiano decorato da medaglioni. Sul frontone è impresso il nome della moglie del proprietario “Rosa” e sul terrazzo s’innalza un’imponente torre posizionata lateralmente. Il salone è caratterizzato da un alto soffitto a cassettoni in legno, le pareti erano un tempo rivestite da carte da parati in stile classico, il pavimento, tutt’ora integro, è composto dalle consuete cementine con effetto mosaico. Del giardino un tempo rigoglioso, compreso tra la strada San Girolamo e via Fratelli Petruzzelli, resta ben poco, cioè: la casa del custode, un gazebo e una fontana in stile razionalista coordinato con lo stile della villa. In località Fesca la professoressa di storia dell’arte Angela Sciascia ci segnala la villa “Marco Lorusso”, ormai irriconoscibile, prospiciente il mare in prossimità del Lido Massimo. Questo ricordo potrai leggerlo nel documento riportato nel blog.
In località Marconi San Cataldo, ancora oggi visibile, sorge una prestigiosa villa ex proprietà del cavalier Vito Tomasicchio: un commerciante benestante nonché proprietario di terreni in località Fesca. La villa, dipinta di bianco, ubicata sul lungomare Starita ad angolo con via Castriota Skanderbeg, fu progettata nel 1932 dall’ingegner Orazio Santalucia il quale realizzò numerose opere tra le quali: il palazzo che ospita l’omonimo teatro e l’hotel Oriente. Di questo immobile vi è una documentazione consultabile in un libro inerente le ville e i giardini di Bari, a cura della storica dell’arte Michela Tocci e dell’architetto Giuseppe Romanelli. Anche questo edificio, di stile razionalista, porta anch’esso il nome “Rosa”, per la sua impostazione planimetrica con ingresso posto in angolo, è resa dissimile dalle ville descritte fino ad ora. Situata sul fronte strada, vi si accede attraverso un cancello che cinge un cortile di limitate dimensioni. Il cancello è in ferro battuto con decorazioni, mentre il muro di cinta è composto da pilastri in cemento. Da un ampio patio si raggiunge la scenografica scala con una prima rampa seguita da una doppia che conduce al piano soprano sovrastante il sottano seminterrato. Si accede all’ingresso da uno spazioso porticato con colonne scanalate che sorreggono la balconata del piano superiore. Il prospetto è decorato da fregi a bassorilievo con figure antropomorfe. Fra questi, uno rappresenta, una donna, affiancata da due rami d’ulivo, seduta in riva al mare. Il salone interno, decorato anch’esso da colonne, culmina nel vano scala che conduce ad un arioso torrino belvedere. Negli anni ’70, la villa diventò sede del ristorante “Kilimangiaro” e rappresentò, per diversi anni, un’icona nel settore ristorativo operante nel rione. All’angolo di via Guglielmo Marconi n. 2 con Castriota Skanderbeg n. 11, sorge una costruzione, modificata negli anni ’60 che pare destinata alla demolizione. Donato Terrevoli, torna in nostro soccorso, riferendoci che quella costruzione negli anni ’30 aveva l’aspetto di un villino. L’edificio composto da un piano a livello strada aveva un piccolo cortile d’accesso con cancello e un recinzione con inferriate alternate da pilastri. I proprietari del villino, con il consenso dell’Amministrazione Comunale, misero a disposizione una stanza per lo svolgimento di attività scolastiche. Poiché, a quel tempo, non c’erano ancora edifici scolastici. L’edificio scolastico Marconi fu inaugurato il 10 settembre 1954 data in cui si celebrò il cinquantenario della stazione radiotelegrafica. Infatti, all’inaugurazione della XVIII edizione della Fiera, il Ministro delle Poste e Telecomunicazioni, onorevole Cassiani, presenziò alla mostra dei cimeli marconiani nel padiglione del suddetto Ministero. All’inaugurazione della scuola, invece, fece da madrina la seconda moglie di Guglielmo Marconi e madre di Elettra, la marchesa Maria Cristina Marconi la quale per l’occasione scoprì una targa commemorativa. Va detto che prima di quella data i figli dei residenti raggiungevano la Fiera del Levante dove, nel Palazzo delle Nazioni, svolgevano le attività di apprendimento scolastico. Prima di concludere questo racconto vorrei segnalarti che forestieri e villeggianti avevano possibilità di ristorarsi in vari locali. Nel ristorante e albergo “Mondo Nuovo”, indicato negli annunci pubblicitari degli anni ’30 in via Adriatico n. 7, quasi di fronte all’ingresso del luna park della Fiera e adiacente la villa del cav. Faenza. L’edificio, ancora esistente, per un periodo fu uno stabilimento di imbottigliamento, anche della Coca Cola, e chiamato SOBIB per poi essere adibito ad altri impieghi. Nel “ristorante Nettuno”, dello stabilimento omonimo, gestito dal sig. Ficarra che lo inaugurò nell’estate del 1931 nel Lido di San Francesco all’Arena. Oppure nel ristorante “Posillipo al Mare”, che era edificato durante gli anni ’20 all’altezza dell’attuale lungomare Starita n. 9 ed era posto sul retro di villa Ippolita Attolico. Il ristorante era composto da una prestigiosa struttura in legno, con tetto a capanna, terrazza belvedere, giardino e veranda e ben presto divenne meta dei Baresi. Un altro ristorante sorgeva sul lungomare Starita n. 18 ad angolo con via Caprera e faceva parte della villa di proprietà della famiglia Romita, pertanto , per quanto riguardava l’abitazione privata, era dotata di un ingresso autonomo sul lato mare con un piccolo cortile. Il fabbricato venne intitolato in un primo tempo “ristorante Belvedere”, col riferimento al torrino che lo sovrastava. Successivamente la gestione passò al signor Adamo Lacalendola, genero dei coniugi Romita, e cambiò l’intitolazione in: “Bella Napoli”. L’ingresso al locale era situato nello slargo antistante un palazzo un tempo signorile, ma attualmente fatiscente, forse appartenuto alla famiglia Bellomo. Sul retro del ristorante vi è un’altro edificio anch’esso in stato di abbandono, appartenuto alla famiglia Di Cagno che lo donò, durante la seconda guerra, per l’uso di ospedale per i bambini poveri. Donato Terrevoli, fa nuovamente da guida in questo itinerario, riconducendoci sulla curva in prossimità dell’ingresso monumentale della Fiera in prossimità della villa del cavalier Tomasicchio. Negli anni ’50 in quella zona venne realizzata una struttura modesta in legno il cui uso di ristorazione era prettamente limitato al periodo estivo. La costruzione fu opera di una imprenditrice del quartiere San Girolamo. Ma non ebbe una vita lunga perché la struttura era continuamente esposta a mareggiate ed erosione. In periodi recenti molte ville sono state demolite per l’edificazione di nuove palazzine. Ad esempio il grazioso villino proprietà Armosino ubicato in via del Faro n. 8, la cui planimetria simmetrica era composta da un piano rialzato con patio, terrazzo balaustrato, piano interrato e provvisto di un giardino. Più recentemente è stato demolito il villino in prossimità del cinema d’essai ABC su via Massaua angolo via Corsica. Anche questo edificio aveva una tipologia simile al precedente appena descritto ed in più aveva un porticato posto davanti all’ingresso.
Con questo ultimo racconto si va a concludere questa attività dedicata alla villeggiatura al mare nel solco della memoria storica e dell’arte. Se vorrai potrai dare il tuo contributo con testi o fotografie per implementare il blog con ulteriori informazioni al fine di accrescere la documentazione e salvaguardare il patrimonio culturale del tuo quartiere.

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