- IL QUARTIERE - PRIMA PARTE (testo)

PRIMA PARTE
Per raccontarti vicende storiche, origine etimologica e toponomastica riguardanti il tuo quartiere, ho attinto alle ricerche dello storico Vito Antonio Melchiorre, pubblicate da Adda editore. Consultando le sue ricerche egli afferma che il “Il Consiglio comunale, con una deliberazione del 14 maggio 1951, diede atto dell’avvenuta formazione di nuovi rioni, ovvero «Marconi, San Girolamo, Fesca». In occasione di una successiva revisione dei quartieri cittadini, avvenuta nel 1970, la distinzione fra «rioni» e «quartieri» fu abolita, considerando i termini come sinonimi e i suddetti rioni vennero accorpati in un unico quartiere denominato “Marconi - San Girolamo - Fesca”. Quartiere che nel 1979 venne unito al quartiere Libertà nell’atto costitutivo dell’ottava Circoscrizione. Recentemente nel 2014, accorpando le nove Circoscrizioni, sono stati istituiti i Municipi. Il quartiere di cui ci stiamo occupando appartiene al Municipio numero 3 ed è così composto: Marconi, San Girolamo, Fesca, S.T.A.N.I.C. Villaggio del Lavoratore, San Paolo. Le denominazioni delle località hanno origini differenti. La località denominata Marconi fa riferimento all’esperimento di trasmissione telegrafica senza fili tra Bari e Antivari in Montenegro che lo scienziato Guglielmo Marconi, il giorno 3 agosto 1904, effettuò. La Marconi Company, per edificare l’impianto, ottenne i suoli dalla famiglia Faenza tenutaria di appezzamenti terrieri in quella zona. Di questo evento storico, però, ne parlerò più nel dettaglio in seguito. Scrive ancora Melchiorre:
“Per quanto riguarda il toponimo di San Girolamo, fu certamente dovuto alla chiesa, dedicata al santo, esistente nella zona. Alquanto incerta appare invece l’origine del toponimo di Fesca, attestato da tempi molto antichi. Allo stato attuale delle conoscenze esso compare per la prima volta in una pergamena del 1306 contenente il testamento di Andreas de Comitissa. Costui lasciò infatti alla chiesa di San Nicola un pezzo di terra con 20 alberi di olivo, che si trovava vicino a Bari, in loco Fasce. La frequente vegetazione, lungo quel tratto di litorale, di folti cespugli di licheni, unitamente alla constatazione che tale pianta parassita è detta in greco “fascon”, suggeriscono l'ipotesi – non infondata – del toponimo in questione.
Il quartiere Marconi, San Girolamo, Fesca ha un'estensione di 4,3 km quadrati, sui quali risultarono abitare, nel censimento del 1971, appena 8.332 persone”. In occasione del censimento del 1981, si constatò un lievissimo aumento a 8.561 unità. Negli anni ’90 l’edilizia ebbe un considerevole sviluppo che fece salire la cifra, nel 2011, a quasi 16.000 abitanti, anche se tale incremento fu a danno di molte ville che furono abbattute. Le località in oggetto da epoche non recenti sono state scarsamente popolate, per differenti motivazioni. Ancora una volta Melchiorre ci dà ulteriori chiarimenti. “Nel 1867, infatti, quando venne predisposto il primo piano d'ingrandimento della città, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, ebbe a constatare la impossibilità di procedere all'approvazione del piano medesimo, per quanto riguardava tale parte del territorio, fino a quando non si fosse provveduto alla bonifica degli acquitrini che la rendevano insalubre, fra le località di Ponte Garzo e Mar Isabella. Intorno al 1880 il suddetto inconveniente ancora sussisteva in maniera tanto accentuata, da indurre il Comune a progettare l'installazione di «una robusta piantagione con giardini, intercalata e preceduta verso la strada da un trotoir (pavimento lastricato), per prevenire e modificare le correnti d'aria malsana che potrebbero svilupparsi dal cimitero che giace da quel lato, oltre ai miasmi provenienti dai torrenti San Francesco all'Arena e San Cataldo». Lungo detti giardini erano stati progettati pure piccoli edifici per caffé, ristoranti e altri ritrovi del genere. Siffatti ottimi proponimenti non furono tradotti in atto ma, all'inizio del secolo corrente, la situazione igienica doveva essere migliorata di molto, visto che, nell’esporre i criteri fondamentali per la compilazione di un piano regolatore di ampliamento della città, la Giunta municipale manifestò l'intenzione di far sorgere, vicino al faro di San Cataldo, un quartiere operaio, nella considerazione che l'aria non era insalubre e il costo dei terreni non era elevato. Unico inconveniente – ora che la questione igienica sembrava superata – rimaneva la distanza dal centro abitato. Le località risultavano nel primo ventennio del ’900 scarsamente abitate, per una ragione diversa, perché la maggior parte del territorio era occupato da opifici industriali nella zona interessata tra la penisoletta di San Cataldo e Bari”. Nel 1868 l’azienda londinese, denominata The Tuscan Gas Company, – con una sede in Toscana – realizzerà, tra la via per Barletta e il lungomare, l’impianto del gasometro che servirà ad illuminare la città. Nel 1903 è documentata l’esistenza degli stabilimenti Magazzini Generali Fizzarotti, dove dal 2004 c’è la caserma della Guardia di Finanza intestata a Luigi Partipilo e percorrendo via Oreste Pietro (già via dei Mercati) sono ancora visibili i muri perimetrali dei Magazzini così come è ancora riconoscibile il tracciato della linea ferrata che collegava i Magazzini al porto e alla rete ferrioviaria. Non distante sorgeva il Molino Tosi. A fianco dei Magazzini Fizzarotti nel 1869 i signori Sarlin & Gazagne, delegati de “La Societé Nouvelle des Huileries et Savoineries Méridionales” allestirono uno stabilimento per la produzione del solfuro di carbonio, per l’estrazione dell’olio dalla sansa e di una fabbrica del sapone; due anni dopo costruirono un’altra fabbrica per il sapone verde. La suddetta Società – diretta successivamente da i signori Mazzurana e Angeli, congiuntamente ad una ditta di Barletta e alla ditta Cornelio & Spangher di Bari, diviene l’azienda “Olierie e Saponerie Meridionali” nel 1905. Lo stabile degli uffici di quelle fabbriche non è stato demolito ed è sito all’angolo di via Ammiraglio Caracciolo con il lungomare. Attualmente è la sede dell’azienda di stampa e allestimenti fieristici Fidanzia Sistemi. C’era anche un’azienda intitolata “Oleificio Ligure Pugliese di Bari” che nel 1920 passò in gestione alla ditta genovese dei Fratelli Gaslini. Di questo fabbricato, ancora oggi, sul retro degli uffici dell’Acquedotto Pugliese, restano parte delle strutture.Tra il 1923 e il 1924 sorgono le acciaierie Scianatico e alla fine degli anni ’20 si edificano gli impianti annonari comunali (mercati generali, frigorifero, macello). Negli anni ’50 viene eretto, sulla penisola di San Cataldo, un impianto per il pompaggio degli idrocarburi collegato con una condotta al molo San Cataldo dove erano ormeggiate le petroliere. Tale impianto fu edificato dalla compagnia petrolifera statunitense Standard Oil (oggi marchio Esso) che rilevò gli impianti dell’Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili, edificati quest’ultimi nel 1936 da Agip e gruppo Montecatini nel quartiere oggi noto come S.T.A.N.I.C. e Villaggio del Lavoratore. Il molo di San Cataldo lo si raggiunge percorrendo il lungomare “corso Vittorio Veneto, che durante il ventennio fascista fu denonominato corso della Vittoria, nel 1958 assunse il nome della cittadina veneta dove si era conclusa per l’Italia la prima guerra mondiale. Da qui si dirama il viale che venne intitolato, nel 1934: «dello Stadio» e che fiancheggia il palazzo dell'Acquedotto Pugliese edificato nel 1959. La denominazione del viale venne mutata nel 1958 in «Vittorio Emanuele Orlando» dedicandolo allo statista palermitano che divenne presidente del Consiglio. Il viale Vittorio Emanuele Orlando va a sfociare nella grandissima piazza dello stesso nome, ove sorge lo stadio. In precedenza, Bari disponeva soltanto di un campo spartano denominato «Campo degli Sport» inaugurato, nel 1925, nella zona oggi occupata dal viale Papa Giovanni XXIII, a fianco del carcere, nel quartiere Carrassi. Nel 1929, quando la locale squadra di calcio fu promossa in divisione nazionale, si cominciò ad avvertire la necessità di un terreno di gioco più adeguato al decoro del ruolo raggiunto. Venne posto in esecuzione un progetto redatto dall'ing. Angelo Guazzaroni e dall'architetto prof. Fasolo, con le maestranze dell’impresa Vaselli di Roma e della ditta Ferrobeton. Il costo complessivo dell'opera fu di lire 2 milioni, coperto con la raccolta delle offerte fatte da privati cittadini e da enti, per erigere un monumento celebrativo della vittoria conseguita dalle armi italiane nella prima guerra mondiale. Di qui il nome: «Stadio della Vittoria». È doveroso evidenziare che non vennero mai apposte le stele celebrative ai caduti della prima guerra. Lo stadio il 6 settembre 1934, venne inaugurato e si tennero i campionati dei giovani fascisti con la presenza del capo del governo, Mussolini, venuto ad aprire ufficialmente la quarta Fiera del Levante. La prima partita di calcio fu invece disputata nello stadio il 13 dicembre 1934, fra la «Bari» e la «Comense». La costruzione non era stata, per la verità, del tutto ultimata, tanto che la torre annessa, denominata di Maratona, venne completata nell'estate del 1955, mentre nell'autunno del 1963, fu abbattuta, consentendo di ricavare maggiore spazio per le tribune. Tra le vicende legate a questa struttura vale la pena ricordare che il 3 giugno 1947, durante il 30° Giro d’Italia, il traguardo della 10ª tappa, tagliato da Elio Bertocchi, fu posto nello stadio. La maglia rosa in quell’edizione andò a Fausto Coppi, che strappò il podio a Gino Bartali.
Riprendiamo ora il nostro percorso tra le vie.
Dove il corso Vittorio Veneto ha termine, superato il «Varco della Vittoria» da dove si accede al porto, la via assume il nome di lungomare Starita. Questo tratto di strada si chiamò in primo luogo: “della Fiera”, in seguito: «Costanzo Ciano» ma, nel 1943, dopo la caduta del fascismo, assunse il nome di: «Messina». Nel 1956, il toponimo venne ancora una volta mutato in quello attuale, per ricordare il «generale Giambattista Starita e l’ammiraglio Pietro Starita».
Anche altre strade furono soggette al cambiamento dell’intitolazione via «Umberto Giordano» era intitolata via «Africa Italiana» e viale «Saverio Mercadante» invece era viale «Catania» (già Arnaldo Mussolini).
La penisoletta naturale di San Cataldo, artificialmente prolungata dalla mano dell'uomo, costituisce il braccio di ponente del porto di Bari. Il nome certamente deriva da qualche cappelletta o edicola del santo, del quale non rimane più traccia. Si sa invece con certezza che la località di San Cataldo era il luogo ove – in tempi antichi – i pirati, che avevano sequestrato qualche persona, solevano farsi vedere, rimanendo al largo, per richiedere il riscatto delle loro vittime: se i familiari o le autorità cittadine non provvedevano al versamento delle somme richieste, quei poveri disgraziati finivano con l’essere venduti come schiavi in terre lontane.
Uno dei più eclatanti episodi, è senza dubbio quello che accadde nel 1556. Il 26 febbraio, l'Università aveva nominato una delegazione che andasse ad accogliere a Venezia la regina Bona Sforza, in procinto di lasciare la Polonia per tornare nel suo ducato di Bari. Erano stati designati a farne parte Antonio Larissa, Giovanni Tresca, Giordano Dottula e Onorato Zizzi, cui si erano aggiunti volontariamente Pietro de Rossi, Scipione Casamassima, Giambattista Nenna e Giambattista Ferdinando. Appena costoro si furono messi in mare il loro vascello fu assalito dai pirati, i quali, dopo pochi giorni, al largo di San Cataldo levarono un segnale convenzionale, col quale chiedevano un riscatto di 247 ducati a persona. I familiari, accorsi sulla riva, si premurarono di versare la somma e gli otto sequestrati, prontamente rilasciati, ripresero il viaggio alla volta di Venezia, per rendere omaggio alla regina Bona Sforza”. Va ancora ricordato, in merito a San Cataldo, che nel 1239 l’imperatore Federico II diede avvio in questo luogo, che distava un miglio dalla città, alla costruzione di un nuovo porto. Lo storico Antonio Beatillo, nel riferire la notizia, ricavata dal «Registro dell'imperatore Federico II, anno 1239», aggiunge che, ai suoi tempi, vale a dire nei primi decenni del Seicento, non se ne scorgeva più vestigio alcuno, forse perché la veemenza dei venti boreali, soliti ad infuriare contro la penisola, non aveva permesso di realizzare l'opera. Dello stesso avviso fu l'altro storico barese settecentesco Emmanuele Mola. Quel tratto di costa protetto dalla lingua di terra di San Cataldo fu comunque spesso utilizzato come riparo sia pur precario di imbarcazioni. Se ne trova cenno, ad esempio, in una pergamena dell’archivio di San Nicola, datata 12 gennaio 1161 e contenente la transazione d’una vertenza giudiziaria fra parenti: vi si legge, ad un certo punto, la vicenda di una «buzia» (un tipo di barca dell'epoca) andata ad infrangersi nel porto della punta di San Cataldo.
La penisoletta è dominata dall’alta mole del faro costruito nel 1868. Salendo 280 scalini si giunge alla lanterna, posta a 66 metri, la cui intensità percorre 24 miglia nautiche. Come detto in precedenza, in quest’area il 25 luglio del 1904 lo scienziato Guglielmo Marconi arrivò per la messa a punto delle apparecchiature della stazione radiotelegrafica. Il 3 agosto dello stesso anno avvenne il collegamento radio tra Bari e Antivari dove si trovava Marconi che il giorno successivo ritornò a Bari da Antivari, a bordo della nave “Marcantonio Colonna”. In città ci fu un tripudio entusiastico durante le cerimonie alla presenza delle autorità. La stazione radiotelegrafica entrò in servizio regolare il 1° settembre. Ma l’anno successivo, il 9 luglio del 1905, le antenne vennero distrutte da un uragano. Per ripristinare le comunicazioni con Antivari si innestò, quindi, un filo aereo sulla punta del faro collegato all’impianto della stazione radio. Si provvide ad informare la Marconi Company e il Ministero delle Poste e Telegrafi che incaricò il marchese Solari, (capo della divisione radiotelegrafica), di supervisionare le operazioni di ripristino. Il Ministero delle Poste e Telegrafi, infatti, fece portare da Roma i pezzi montabili di una nuova antenna. Accadde che il 25 aprile 1910 un fulmine andò a cadere sul padiglione della stazione radio telegrafica. Per fortuna l'ufficiale di servizio Giambattista Mitolo ed il commesso Luigi Cassano, appena videro il cielo minaccioso ed udirono il rombo dei primi tuoni provvidero a collocare la corrente a terra, così il fulmine deviò ed andò a spegnersi in mare. Intanto, attorno alla stazione radio si andavano edificando nuovi edifici. Nel 1915 circa, parallelamente al lungomare Starita ad angolo con via Caprera, venne innalzato un palazzo in stile neoclassico che durante la seconda guerra mondiale divenne struttura ospedaliera col contributo del proprietario e benefattore Cavalier Di Cagno.
L’edificio attualmente versa in uno stato di abbandono. A San Cataldo sorgeva anche un orfanotrofio di tale struttura me ne da informazione il signor Donato Terrevoli, residente nel quartiere, nonché appassionato cultore della storia. L’orfanotrofio dedicato alla «Madonnina del Faro» fu edificato a fine anni ’50 in via Mogadiscio vicino al villino di Pinuccio Sassanelli, quest'ultimo fu il benefattore che permise la realizzazione della struttura a fianco della sua proprietà. Precedentemente la struttura era ospitata in due edifici con tetto a capanna usati per alloggio dei marinai in servizio al faro – uno dei due è ancora esistente –. La Marina Militare, pertanto, concedette l’uso a l’ordine di suore Missionarie di Maria Mediatrice.
Va detto che a Bari fu inoltre attraccata la nave - asilo Eridano dal 1925 al 1943 in gestione all’Opera Nazionale del Patronato (O.N.P.). La richiesta fu avanzata dalla Lega Navale al Ministero della Marina. Sicuramente utile per il servizio di educazione dei figli dei pescatori e trovatelli di quelle località e non solo. Torniamo ora coi piedi sulla terra ferma notiamo che in prossimità del faro, all’interno di un suolo donato dal canonico Nicola Chiumarulo, il 26 gennaio del 1958 venne edificata la parrocchia di San Cataldo per volontà dell'Arcivescovo Enrico Nicodemo su progetto dell’arch. Domenico Di Bari e dell’ing. Angelo Baldassarre. La struttura ha subito vari interventi nel tempo, tra cui le vetrate policrome eseguite dall’artista Michele Carofiglio, la realizzazione delle opere a tempera su intonaco, eseguite da padre Bruno Facciotti.
Il Centro Traumatologico Ortopedico (C.T.O.) sarebbe stato costruito tra il 1948 ed il 1952 su progetto dell’architetto Giuseppe Samonà. L’I.N.A.I.L., ente gestore della struttura, si impegnò con gli eredi Conti Sabini a conservare almeno la pineta della loro proprietà mentre il resto, compreso la villa della proprietà confinante, furono rase al suolo. La struttura di sei piani del C.T.O. è dotata di piscina, solarium, teatro, biblioteca e chiesa.
Dallo slargo adiacente al C.T.O., intitolato all’avvocato Vittorio Triggiani – uno tra i presidenti della Fiera – ha inizio il lungomare Starita che va a sboccare, al di là di San Cataldo, nel piazzale che si estende davanti all’ingresso monumentale della Fiera del Levante. Il vasto piazzale, che comprende pure una rotonda sul mare, venne intitolato nel 1937, in onore del re d’Italia, Vittorio Emanuele III di Savoia”. Il lungomare, di fronte all’ingresso in questione, dal 2009 è intitolato a Paolo Pinto avvocato, giornalista e soprattutto campione di nuoto. La fiera fu inaugurata la mattina del 6 settembre 1930 dal re d'Italia Vittorio Emanuele III, accolto dal primo presidente dell'ente fiera il senatore Antonio De Tullio. Quando la bufera immane del secondo conflitto mondiale si abbatté anche sull'Italia, la Fiera restò chiusa dal 1940 al 1946 e il quartiere fieristico venne adibito ad usi militari, prima da parte dell'esercito italiano, poi dalle truppe straniere di occupazione.
Nel successivo racconto avrò modo di illustrarti le vicende di quel periodo bellico ed altre vicende del quartiere proseguendo il nostro viaggio.

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