- IL QUARTIERE SECONDA PARTE - (testo)

SECONDA PARTE
Quando la bufera immane del secondo conflitto mondiale si abbatté anche sull'Italia, la Fiera restò chiusa dal 1940 al 1946 e il quartiere fieristico venne adibito ad usi militari, prima da parte dell'esercito italiano, poi dalle truppe straniere di occupazione. 
Così si concludeva la prima parte di questo racconto.
Già durante la prima guerra il capoluogo pugliese dovette fare i conti con i bombardamenti aerei. Il primo avvenne il 1° giugno 1915: alle 4;45 del mattino un piccolo biplano austriaco proveniente dal mare si diresse verso la città e da circa 1.500 metri di quota lanciò più bombe nel tratto tra la stazione e il quartiere Picone provocando vittime e danni alle cose. Per poi dirigersi verso la stazione radio di San Cataldo, alla quota di 2.000 metri, e proseguire indisturbato fuori dalla città. In quell’anno, Bari subì altri bombardamenti rispettivamente: il 19 giugno e il 17 luglio, data quest’ultima in cui una bomba cadde sulle Olierie e Saponerie Meridionali e quello del 27 luglio 1916. In quelle circostanze la cittadinanza veniva allertata con appositi segnali e i fucilieri della milizia con i carabinieri, appostati sulle terrazze, facevano il possibile per difendere la città anche con l’uso di cannoni. Anche la storia del II conflitto bellico segnò in modo significativo le vicende delle ville e dei villeggianti. Sopratutto sono da ricordare in particolare due vicende. La sera del 2 dicembre 1943, il porto fu bombardato dall’aviazione militare “Luftwaffe” tedesca. Diciassette navi delle forze alleate vennero affondate; tra queste c’era la John Harvey, le cui stive erano colme di bombole di un letale gas chimico chiamato Iprite. Questo gas era bandito dalla convenzione di Ginevra e parte del convoglio di navi proveniente da Baltimora lo trasportava in segreto. Molte furono le vittime entrate in contatto con questa sostanza letale. A quest’episodio si aggiunge quello avvenuto la mattina del 9 aprile del 1945 con l’esplosione del piroscafo statunitense S.S. Charles Henderson carico di munizioni e armamenti. Anche in questa circostanza le conseguenze furono nefaste e distruttive. I due avvenimenti determinarono violenti spostamenti d’aria e deflagrazioni danneggiando le ville e gli edifici rivolti verso il porto e rendendo taluni pericolanti. I residenti, da villeggianti divennero profughi per fuggire dalle bombe scaricate dagli anglo americani, in un primo momento, e dopo l’armistizio dai tedeschi. Ciò avveniva tra il 1940 e il 1943. Molti cittadini in quei periodi di terrore usarono la linea ferroviaria Bari-Barletta per allontanarsi dalla città a rischio allo scopo di raggiungere un luogo sicuro in periferia. Quando le truppe anglo americane e neozelandesi giunsero a Bari molte delle ville in prossimità del porto furono requisite. Molti campi e basi militari vennero impiantate in quelle aree sino a Palese. Gli innumerevoli profughi giunti a Bari dalla Jugoslavia, Romania, Grecia, Turchia, Libia e Nord Africa, ed in particolare le comunità greche di origine italiana, vennero accolte nella città Bari, in periferia e in provincia. Fra i tanti c’era quello nella località di Torre Tresca. Convertito da campo di prigionia tedesco in campo profughi. Di quest’area è rimasta una chiesetta diroccata adiacente lo svincolo della tangenziale di Poggiofranco. Nel dopo guerra si progettò un complesso di case per dare una degna residenza ai profughi che vivevano da lungo tempo in quelle strutture precarie. Quindi nel 1956 venne inaugurato il villaggio denominato Trieste. Il 29 gennaio 1958 fu edificata la chiesa intitolata a Sant’Enrico e consacrata dall’arcivescovo Mariano Magrassi. Progettata dall’architetto Raffaele Di Ciaula e le vetrate artistiche policrome sono opera dell’architetto Ernesto Tross. Gli artisti Maria Teresa Ferrari Donadei, L. Grillotti e Umberto Colonna hanno eseguito le opere pittoriche mentre l’artista Paola Sforzini è autrice delle ceramiche. Il complesso residenziale è ubicato in prossimità della Fiera e dello stadio della Vittoria. Un’altra località di interesse storico e quella di Mar Isabella. Il Teologo Beatillo nella sua “Historia di Bari” ne fa esplicita menzione: «... e dal nome della Duchessa, che `I principiò, viene detto Mare e Isabella». La denominzione risale ai primi decenni del cinquecento quando la cittadinanza onorò la duchessa di Bari Isabella d'Aragona. La nobil donna, sposata con Gian Galeazzo Maria Sforza, ebbe quattro figli: Francesco Maria, Ippolita, Bianca e Bona. Quest’ultima apportò migliorie alla città, come ebbe già a fare la madre, dotando Bari di molte infrastrutture, ovvero fece restaurare il palazzo della dogana, ripristinare il fortino di Sant'Antonio, erigere la fortificazione di Santa Scolastica e, soprattutto, provvide all’edificazione del molo nell'area dell'attuale Porto Nuovo. Dell’ansa di Mar Isabella ho già fatto riferimento, nel racconto dedicato alla villeggiatura a proposito degli stabilimenti balneari su palafitta e di alcuni eventi tra cui le competizioni aeree che si svolsero sul campo denominato Aerodromo Mar Isabella. Lo spazio, appunto, era ubicato tra le attuali via Brigata Regina, via Francesco Crispi e via Mazzini. In questo aerodromo, nel 1913, atterrò a bordo di un monoplano Blériot XI il barese Cesare Suglia – pioniere dell’aviazione – a conclusione di un’impresa che sancì un record di distanza. L’aviatore partì da Torino in zona Mirafiori e dopo aver fatto scalo a Pisa, Centocelle e Napoli giunse a Bari. Da ricordare la manifestazione aerea tenuta a Bari nel giugno 1911, voluta dalle autorità in ulteriore aggiunta alle feste celebrative di commemorazione del cinquantenario del Regno. La proposta, nonché l’organizzazione della manifestazione competitiva fu a cura della Società di Aviazione e il Sindaco di Bari, Capruzzi, ne fu favorevole. I piloti partecipanti furono il francese Elie Mollien e la belga Hélène Dutrieu. Gli aviatori erano rispettivamente alla guida del monoplano modello Blériot XI, il primo, mentre l’altro pilotava un biplano Farman Type III. Considerando l’epoca è ben immaginabile quanto clamore fece la partecipazione di questa pioniera dell’aviazione che si distinse anche in ambito ciclistico. Ma ci furono altre donne che salirono agli onori della gloria in un’altra circostanza. Durante l’edizione del 1956 del Gran Premio Automobilistico, il cui artefice fu l’avvocato Francesco Chieco mentre l’organizzazione fu a cura dell’Automobile Club Pugliese, nella gara per le vetture Sport fino a 2.000cc presero parte Maria Teresa de Filippis ed Isabelle Haskell. Quest’ultima conobbe, in quella circostanza, il futuro marito il pilota De Tomaso Alejandro. Purtroppo, durante la competizione, la pilota italiana ebbe problemi al motore mentre l’americana uscì con un semialbero rotto.
Abbandoniamo i ricordi del Gran Premio per procedere ad una andatura più moderata. Costeggiando la riva del mare e percorrendo via Umberto Giordano si va ad incontrare via Giuseppe Verdi, la quale interseca la via Saverio Mercadante. Siamo così giunti nella località di San Francesco, così denominata in virtù di alcune leggende francescane. Una di queste narra che San Francesco passò un giorno di lì accompagnato da un fraticello, il quale, vista una borsa abbandonata per terra, chiese al santo il permesso di raccoglierla, ricevendo però un netto rifiuto. Il giovane si permise di insistere, perché gli sembrava assurdo lasciare perdere del danaro che si sarebbe potuto distribuire ai poveri in elemosine. Francesco allora acconsentì ma il frate, nel toccarla, si trovò fra le mani un grosso serpente che subito sparì insieme alla borsa. Secondo un'altra leggenda, San Francesco avrebbe operato in quel sito anche il miracolo di far scaturire dalla sabbia una polla d'acqua fresca, per dissetare alcuni pescatori, dopo avervi conficcato un bastone. In seguito a tali prodigi, sarebbe stata edificata sul posto una cappelletta dedicata a San Francesco, rifatta e ingrandita al principio del Seicento, con le elemosine dei devoti. Il Beatillo racconta inoltre che, verso il 1570, l'immagine della Madonna dipinta sul muro di una cappelletta di Santa Maria dell'Arena operò guarigioni miracolose e che, con le offerte delle persone accorse numerose da ogni parte, si costruì una chiesa bella e spaziosa, dotata di locali per il clero e di annessi giardini.
I miracoli si susseguirono per molto tempo per cui, si instaurò la consuetudine che tutti i sabati vi affluiva molta gente per devozione e il primo martedì dopo Pasqua vi si celebrava una grande festa con processione. Precisa inoltre lo storico Melchiorre che la notizia del Beatillo necessità di una rettifica, poiché a quell'epoca, la chiesa di Santa Maria dell'Arena era già in corso di costruzione a quel tempo come risulta da una conclusione della Università barese, del 1513. Di questa chiesa resta soltanto il ricordo mentre l’altra di San Francesco, dall'aspetto assai modesto, fu mantenuta aperta al culto fino al 1937 circa, per poi essere demolita nel 1967 circa, per motivi di viabilità in quanto posta sulla curva dirimpetto all’ingresso del lido omonimo. Questa spiaggia è sempre stata e continua ad essere una rinomata località balneare. Tanto che, nel 1938, le venne ufficialmente assegnata la denominazione di «lido di Bari». Per raggiungerla dalla città l’amministrazione comunale istituì la tranviaria della linea n. 5 con partenza da piazza Massari e capolinea nello slargo antistante il Lido. L’inaugurazione avvenne il 1° luglio 1928 e i bagnanti poterono raggiungere l’arenile a bordo di vetture capaci di ospitare sessanta persone sedute e in grado di coprire il percorso in 15 minuti circa all’importo di una lira in prima classe. Negli anni ’50 il tram fu sostituito dal filobus e venne aggiunto il servizio di un autobus della ditta Marozzi che sostava vicino alla piccola chiesa di San Francesco all’Arena che ho poc’anzi citato. Nonostante la presenza di mezzi motorizzati, negli anni ’60, circolavano ancora alcune carrozze per il servizio di trasporto pubblico.
Inoltrandoci lungo il viale Saverio Mercadante, dedicato all'omonimo musicista di Altamura, si arriva all’ingresso dell'ampia pineta di San Francesco realizzata nel corso degli anni ’60 che inizialmente era dotata di giochi per bambini, di una pista di pattinaggio, di una biblioteca per ragazzi e di attrezzature varie per il tempo libero.
In prossimità del Lido Trampolino, di cui già si è detto nel racconto inerente la Villeggiatura, venne edificata, probabilmente nel primo ventennio del ’900, una chiesa con campanile in stile neoromanico-gotico tutt’ora esistente. La prossimità dell’edificio con la pineta, e come è stato riferito prima riguardo la chiesetta dedicata al santo di Assisi, lascia pensare che l’intestazione della chiesa possa essere dedicata a San Francesco. La strada sul retro è intitolata a Beniamino Cipparoli. Costui fu il titolare del “Gran Caffè Savoia” di Bari con annessa terrazza denominata “Ariston” – siti a quel tempo su corso Cavour angolo via Dante – fondò la ditta di torrefazione S.A.I.C.A.F. e negli anni ’30 fu gestore del lido Eden. Cipparoli successivamente passò la gestione delle attività nominate al genero, il signor Leonardo Lorusso, il quale commutò la denominazione del lido in “Trampolino”.
Via Cipparoli è al confine con le località di San Girolamo e Fesca comprese tra le due Lame denominate: Lamasinata e Balice. La prima fu oggetto di un intervento ad opera dell'amministrazione Araldo di Crollalanza negli anni ’20 consistente nella bonifica del paesaggio e la costruzione del canale deviatore – meglio noto oggi come “canalone” –. Questi interventi migliorarono considerevolmente la condizione di canalizzazione delle acque piovane che defluivano dall’alta Murgia. L’etimologia di Lamasinata potrebbe derivare dall’intitolazione risultante da antiche cartografie: Lama de ’Sènapi nome di una famiglia di quella zona da cui potrebbe derivare anche il nome della strada Messenape.
La denominazione di San Girolamo deriva da una costruzione recente, anche se un'altra più antica doveva sicuramente esistere da queste parti, essendo il toponimo in uso da vari secoli. Conviene a tal proposito continuare a percorrere la via costiera del lungomare IX Maggio, la cui denominazione sta a ricordare il primo giorno di pace successivo alla firma dell'atto di capitolazione delle forze armate germaniche, avvenuta a conclusione della seconda guerra mondiale.
Lungo la costa del quartiere San Girolamo nel 1946 sorse il Lido Adria che divenne il riferimento per i bagnanti di quel versante. Ad esso se ne aggiunsero altri come il Lido Pisani, non più esistente, e a fianco il Lido Massimo già denominato San Cataldo. Questi stabilimenti furono edificati dopo la demolizione della colonia marina a Fesca. Nel 1958 fu edificato il complesso denominato San Girolamo, gestito dall’Istituto Autonomo Case Popolari (I.A.C.P.) che segnò il principio di rinnovamento di quel tratto di costa. Con esso venne edificata la chiesa omonima nel gennaio dello stesso anno. Nel 1987, a ridosso delle palazzine, si scorgevano ancora antiche cave di tufo dalle quali il Comune soleva ricavare i blocchi occorrenti per riparare le mura cittadine e in tempi recenti per l'edificazione delle ville. In quel luogo, come è stato già detto, sorgeva la colonia Marina di memoria fascista che divenne prima un istituto di formazione alle professioni artigianali – intitolato al colonnello Ferruccio Barletta – e dopo fu luogo di ospitalità per i profughi. Situata all’angolo delle attuali via Cimarosa e via Perosi c’era l'arena “Madonnina”: un cinema piccolissimo gestito dal signor Francesco Mesto dal 1955. Questo cinema anticipò di 21 anni l'apertura della sala cinematografica d’essai denominata ABC in prossimità del faro di San Cataldo.
Nel mese di luglio del 1956 venne inaugurato, non distante da Fesca, lo stabilimento balneare degli ufficiali. Il lido era attrezzato di 70 cabine, sala mensa, pista da ballo con giradischi a gettone e il servizio di collegamento alla città con un pullman.
Alla cerimonia d’inaugurazione intervennero i numerosi familiari degli ufficiali che assistettero al taglio del nastro da parte del generale Lorenzotti.
E ancora a Fesca possiamo ricordare la piccola chiesa di Sant’Antonio, edificata nel 1931 su commissione del signor Giuseppe Piccirillo e di sua moglie Antonia in onore del santo di Padova, di cui erano devoti.
Il prospetto è caratterizzato da un frontone a timpano sorretto da paraste mentre il portone è coronato da un timpano ad arco contenente un bassorilievo con l’effige del Santo.
L’interno illuminato da una monofora è costituito da una navata con soffitto piatto, non è da escludere che il soffitto fosse un tempo a volta a botte o a crociera. Sul tetto vi è un piccolo campanile a vela. Anche qui le poche costruzioni superstiti testimoniano la vocazione di villeggiatura della località. A Fesca si sarebbe voluto creare un ippodromo. Fin dal '71, infatti, fu costituita la «Società Azionaria Ippica Pugliese» (S.A.I.P.) che provvide ad acquistare il terreno nella zona periferica della cava ex S.I.C.A.M., proprio in un comprensorio che il piano Quaroni prevedeva destinato a impianti sportivi. Fu dato incarico all'architetto Vittorio Chiaia di approntare il progetto di massima. Sarebbe stato, secondo i progettisti, l'impianto più grande d'Europa. Per poter realizzare la pista di trotto, però, si rendeva necessario acquistare un'altro appezzamento di terreno di tre ettari, che al tempo era coltivato ad ortaggi. I responsabili della S.A.I.P. tentarono a fine anni ’70 – come ricorda l'avv. Tarsia Incuria – di acquistare questo terreno, ma dovettero arrendersi di fronte alle esose richieste dei proprietari.
Nel prossimo racconto illustrerò la storia di alcune residenze di villeggiatura esistenti e di altre, purtroppo, demolite.


Commenti

Post più popolari