- IL GIARDINO - (testo)

Per quest’altra occasione, come ti avevo anticipato, ti parlerò di argomenti inerenti il giardino. Un binomio indissolubile quello dell'architettura e del verde che, nell'edificazione delle ville di fine Ottocento e inizio Novecento, è molto curato. Innanzitutto una riflessione sulla sua denominazione e sull’origine etimologica che risale al XIII secolo e deriva dal germanico gart o gardo per indicare un luogo chiuso o zona cintata. In tempi antecedenti il giardino era denominato kepos (dal greco) o hortus conclusus, (dal latino) ovvero spazio delimitato/chiuso, viridarium per indicare un vivaio e pomarium ad indicare un frutteto. Per meglio definire questo termine riporto la descrizione fornita dal dizionario Treccani. “Il giardino è un terreno per lo più cinto di muro, steccato o cancellato, coltivato a piante ornamentali e fiorifere, destinato a ricreazione e passeggio; può essere privato, adiacente a villa o casa d’abitazione, oppure pubblico, nell’interno o alla periferia dei centri abitati”. L'uso di creare degli spazi verdi è riconducibile al tempo della civiltà egizia, infatti, pitture murali del 1500 a.C. documentano la realizzazione di laghetti – ricoperti di ninfee e loto – cinti da file di alberi di Acacia e di Palme. I giardini pensili di Babilonia, risalenti al 590 a.C., erano considerati una delle sette meraviglie del mondo. Vorrei segnalarti due architetti, del periodo rinascimentale, che si sono distinti per aver concepito dei giardini molto raffinati e scenografici. Il primo è Pirro Ligorio che progettò il giardino di villa d'Este a Tivoli nel XVI secolo, mentre tra il 1511 e il 1566 progettò il giardino di villa Lante vicino Viterbo, coadiuvato dall’architetto Tommaso Ghinucci artefice dei “giochi d’acqua”. L’altro architetto degno di nota è Luigi Vanvitelli che progettò nel 1697, con l'architetto Stefano Gasse, la Villa reale di Napoli sulla Riviera di Chiaia: un giardino urbano ad uso pubblico. Tra i giardini sul mare è importante segnalare quello di villa Rufolo a Ravello fatto realizzare nel XIII secolo da Nicola Rufolo, il quale anche in Puglia, precisamente a Giovinazzo, realizzò alcune opere architettoniche. Volendo collocare lo spazio-giardino in tipologie architettoniche possiamo individuare questa suddivisione: giardino all’italiana o classico, a tracciato regolare, simmetrico, con siepi tagliate a mano in forme regolari o ornamentali, in cui ogni spazio è definito e ridotto in forme geometriche anche in presenza di forti dislivelli, con scalinate, terrazze, cascate d’acqua, e in cui la vegetazione appare in forme artificiali e quasi mai nel suo aspetto naturale; il giardino alla francese, con tracciato simmetrico e composizioni ordinate a linee prevalentemente rette, di solito pianeggiante, con aiuole, specchi d’acqua e nicchie; e il giardino all’inglese, con tracciato irregolare, non architettonico, che nella disposizione e nello sviluppo delle piante tende a riprodurre artisticamente la natura mediante una successione di scenari caratterizzati da ampi prati in contrasto con fitti boschetti e, in alcuni casi, con elementi artificiali costruiti da grotte, rovine, tempietti. 
Il più delle volte le scelte architettoniche del giardino erano dettate dal gusto e dalla tendenza dell’epoca. La famiglia Medici lo commissionò in stile “umanistico”, i Borboni in stile “eclettico”, i Savoia in stile “barocco” e gli Asburgo in quello “neoclassico”. Dai testi e documenti che ho consultato e dalla constatazione diretta, appare evidente che realizzare un giardino, dei modelli descritti fino ad ora, non è molto fattibile nelle località di San Cataldo, Marconi, San Girolamo e Fesca. Infatti le dimensioni dei giardini di queste località sono molto ridotte rispetto ai giardini delle ville di campagna. I motivi, oltre ad aspetti di natura economica e funzionale, sono da ricondurre in primo luogo alla tipologia geologica del paesaggio costiero, in secondo luogo perché era necessario tenere in considerazione l'impiego di specie arboree resistenti al clima caldo e che non richiedessero frequenti irrigazioni. Il giardino è l’ultimo elemento nella edificazione della proprietà. Nella progressione di costruzione della villa, infatti, i primi elementi ad essere edificati sono i muri di cinta, il cancello d'accesso – in ferro battuto – ed i pilastri, con basamento, sormontati da cimasa e pinnacoli a bulbo, a pigna o vasi. Lo slargo d'accesso è munito, talvolta, di panche in pietra ai laterali. Lungo la strada antistante, è possibile trovare edificati due corpi di fabbrica distinti tra loro: uno ad uso di scuderia per i cavalli e l’altro utilizzato come rimessa per la carrozza o verso gli anni 30 per l'automobile. Ed ecco infine è il momento di provvedere alla messa in opera del giardino. La pavimentazione in pietra del viale, ed eventualmente dei vialetti, è realizzata a ciottolato, a lastricato o selciato. La prima tipologia è costituita da ciottoli di forma ellissoidale disposti su un letto di sabbia, mentre la versione a lastricato è costituita da conci di forma perlopiù a parallelepipedo posati su uno strato di sabbia o su una fondazione in calcestruzzo oppure il camminamento a selciato composto da conci a forma di tronco di piramide a base quadrata disposti sul terreno o su uno strato di ghiaia in modo da formare un reticolato o una serie di archi di cerchio. Nella fine degli anni ’50 si utilizzeranno, invece, mattonelle modulari in cemento stampato. Le aiuole sono delimitate da cordoli in mattoni di argilla, infissi nel terreno a spina di pesce, oppure da elementi decorativi modulari in cemento detti cordonati, o altrimenti, con delle balaustre o delle recinzioni decorate e prodotte in cemento. Agli elementi di recinzione sono interposti pilastri o basamenti su cui sono collocati elementi decorativi in forme animali, floreali o con fattezze umane detti pertanto, zoomorfi, fitomorfi o antropomorfi.
A Bari lungo la cinta daziaria esisteva la fabbrica di materiale edile del signor De Filippis;
dalla consultazione dei cataloghi del 1924 si evince che produceva le cementine per pavimenti interni, impianti per l’idraulica ed anche un vasto campionario di decori e arredi per giardino su progetto dell'ingegnere Ghilardi. Tra i soggetti decorativi sono riprodotti, ad esempio, personaggi in costumi di manzoniana memoria. I vivaisti, tra cui i de Grecis, realizzano aiuole simmetriche utilizzando fiori della specie Carpobrotus meglio noto come Unghia di Strega, Acacia di Costantinopoli, Lantana, Acanto Spinoso. Il Sinforicarpo e le Margherite, poiché richiedono molta acqua nei periodi estivi, verranno utilizzate in periodi a venire, quando si disporrà della rete idrica. Riguardo le Margherite ho da raccontarti una curiosità: gli anglosassoni le soprannominarono, “daisy” che deriva “day’s eye”, ovvero “occhio del giorno”, perché si aprono al mattino e si chiudono ogni sera.
Riprendendo il discorso sull’arredo del verde, i pergolati e le colonne dei gazebo normalmente sono decorati con Bouganville, Ginestre, Glicini o cespugli di Oleandri. Nei vasi a forma di coppa o calice sono piantate Agavi striate. La scelta delle piante oltre a dover essere compatibile al clima marino è influenzata dall’ambizione dei villani di ricreare giardini dal fascino esotico d'ispirazione araba. Pertanto venivano scelte piante della famiglia delle Succulente – impropriamente dette piante grasse –. Altre piante importate sono il Bambù, il Papiro Egiziano, l'Erba della Pampas e la Sterlizia, una pianta dalla vistosa fioritura arancio. Per bordare le aiuole, prive di prato, si impiantano cespugli di Viburno o Ligustro mentre negli anni ’60 si preferisce l'impiego di cespugli di Pitosforo. Le tipologie di arbusti utilizzate erano: il Leccio, il Finto Pepe, la Palma Nana, la Cycas, la Yucca e anche le palme Washingtonia Robusta o quella delle Canarie. Quest'ultime conferivano ulteriore prestigio alla proprietà. L'impiego del Pino Domestico, con la sua ampia chioma, garantisce ombra al giardino e alla villa sottostante. Grande importanza si dà alla piantumazione di piante officinali o fruttifere che vengono collocate in uno spazio recintato a parte alla maniera dell’hortus conclusus medievale. In tal modo i villani possono disporre di frutti di Fico, di Carrubo, di Fico d’India o di agrumi oltreché di Alloro, Rosmarino, Salvia e Capperi.
Anche gli animali domestici hanno i loro spazi in giardino: le cucce dei cani e le voliere sono fatte in armonia con lo stile della villa. Raramente nei giardini sono presenti strutture per gli animali da cortile. Vi ho già parlato, durante il racconto inerente la villeggiatura, delle attività svolte durante il periodo di soggiorno in villa. Ci torniamo ora per esaminare altri aspetti. Ovviamente le attività dei villani erano, per la maggior parte di puro diletto e riposo mentre per la servitù costituivano un onere impegnativo. Sicché ai giardinieri era affidato il compito della periodica messa in ordine delle piante; allo stalliere, invece, la pulizia della rimessa e della scuderia, la manutenzione della carrozza e l’accudimento e la movimentazione del cavallo. Alla servitù spettava talvolta anche la cura dei figli del padrone, oltre alla pulizia e la cura degli ambienti domestici in genere, la preparazione dei pasti, ed il bucato. Proprio di quest’ultimo aspetto vorrei soffermarmi in quanto, a quel tempo, quest’attività era molto faticosa e seguiva un vero e proprio rituale che solitamente si svolgeva sul retro del giardino. La procedura prevedeva che la cenere prodotta dai bracieri, dallo scaldaletto e dalla cucina economica venisse messa da parte in un bidone. Tale contenitore lo si sarebbe riempito con dell’acqua un paio di giorni prima del bucato per poi essere scaldato sul fuoco. In un altro contenitore veniva scaldata l’acqua per il lavaggio dei panni mentre le donne strofinavano gli indumenti e biancheria su di uno sfrega panni utilizzando il sapone.
I panni venivano immersi e risciacquati nelle tinozze di zinco o in un lavatoio in pietra.
Successivamente la servitù procedeva ad allestire la “conca”, un grosso tino di legno o un orcio in terracotta con un foro alla base con un tubo di scolo. Nella fase denominata dell’“incoronamento” venivano sistemati i panni da lavare nel tino o nella conca, con un ordine preciso: prima i panni meno pregevoli, poi le lenzuola, quindi quelli più delicati e di maggior pregio.
Riempita la conca, sistemavano delle canne intorno, in modo da creare un sostegno al “cenerone”. Questo era un telo di stoffa molto robusta, con trama molto fine che veniva riempito di cenere, con aggiunta di alloro e lavanda per dare profumo ai panni e indumenti. L'acqua calda veniva versata sulla cenere ed il liquido, dopo aver impregnato il contenuto, fuoriusciva dal tubo.
L’acqua scolata veniva raccolta per essere scaldata nuovamente e riversata sui panni, più e più volte, sino a quando la stessa risultava limpida all’uscita dalla conca. Infine con uno strizzatoio a cilindri, ruotati con una manovella, gli indumenti venivano strizzati e poi stesi ad asciugare. Nel tuo quartiere c'è ancora qualche rara testimonianza di ville con giardini e nei prossimi racconti avrò modo di parlartene più approfonditamente. Spero che con questo racconto sia sbocciato un ulteriore interesse per il tuo quartiere e pertanto ti invito a inserire qualche notizia sul blog e ti consiglio di ascoltare i prossimi racconti.

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